Si chiamano Houraya, Naima, Suad… sono alcune delle 15 signore che insieme stanno dando vita a un nuovo marchio di prodotti biologici: Nsana (che suona come “Delle nostre donne”). Siamo a Tebaneya, nel Governatorato di Jendouba, un villaggio a 800 metri sul livello del mare, non lontano dalla località marittima di Tabarka e dalla frontiera algerina. Una zona bellissima piena di boschi, laghi artificiali e montagne che guardano il mare. Qui il turismo è quello locale, quello dei tunisini della diaspora che tornano a luglio e ad agosto e quello algerino. In questa regione, a vocazione principalmente agricola, grazie al progetto Fad (Rafforzamento della filiera della pesca d’acqua dolce in Tunisia) , si stanno sviluppando anche molti itinerari ecologici con giovani guide formate alla valorizzazione della biodiversità e dell’ambiente. Nella filiera dell’eco turismo si inserisce anche la produzione, la trasformazione e la commercializzazione di prodotti locali. In questo contesto, grazie alla sinergia tra COSPE e un’associazione di ragazzi del luogo, Aide, alcune signore, che finora hanno lavorato ai propri appezzamenti di terra principalmente per la sussistenza, si sono unite per tentare di dare una marcia in più alla loro economia familiare e alla loro vita. Si incontrano nella sede di Aide appena possibile: “L’idea è riuscire a fornire loro gli strumenti per migliorare il modo di coltivare e produrre e anche di riuscire ad accedere a un mercato più vasto di quello strettamente comunitario o familiare – dice Hiba Brinci, giovanissima presidentessa dell’associazione – Qui organizziamo tanti corsi di formazione che vanno dalle nozioni sull’igiene a come non sprecare l’acqua per le coltivazioni, da come si fa il compost a come si conservano le sementi locali, dal miglioramento del packaging alla pianificazione delle produzioni. Presto si inizierà a lavorare sulla permacultura e sulla certificazione biologica”. Sebbene molte di loro lavorassero già insieme, far parte di un gruppo formale e ritagliarsi del tempo per seguire formazioni specializzate, vuol dire soprattutto avere il modo di scambiarsi idee e condividere esperienze, oltre che mettere in comune competenze diverse. “C’è chi sa lavorare alla decorazione delle stoffe con colori naturali, fatti da piante e fiori che serviranno per il packaging -racconta ancora Hiba -c’è chi pensa a costruire serre per conservare sementi duranti l’inverno, che qui è molto rigido, e chi è specializzato nel produrre cipolle oppure patate”. Grazie a questi workshop, tenuti anche da ragazzi dell’Istituto locale di Belle Arti, nella sede di Aide c’è anche un laboratorio permanente di riciclo di materiali. Secchi di plastica che rivestiti di stoffa diventano degli sgabelli e c’è chi trasforma un bancale in un tavolo abbellito da un mosaico su terracotta. “Il vero problema per queste signore è il tempo. Partecipare a questi incontri è sempre difficile ed è un grande sforzo per molte di loro. Prima di tutto devono lavorare, poi devono seguire la famiglia, accudire i figli e avere soldi cash per le spese di tutti i giorni”. Molte di loro per arrotondare fanno lavori stagionali. Ogni anno, ad esempio, tra settembre e ottobre molte di loro vengono impiegate, a nero e con un salario che non supera 15 dinari al giorno per otto ore di lavoro (circa 5 euro ndr) per disboscare alcuni sentieri montani. “Tutto questo rende difficile il lavoro del gruppo ma allo stesso tempo è questa la vera sfida: le signore vengono qui nel loro tempo libero, nei giorni di festa o a volte decidono di perdere un giorno di lavoro per seguire una formazione che interessa particolarmente. Per loro è un vero investimento per il futuro”. Il gruppo ha già anche un logo e un nome, per quanto ci sia ancora un po’ di dibattito su questa scelta, che ad oggi, è appunto “Nsana”. Producono marmellate, harissa, pomodoro in polvere, fagioli, cipolle, aglio, patate, peperoncini, uova fresche. “Il mercato locale non è molto ricettivo riguardo a prodotti più “raffinati” dal punto di vista dei metodi di produzioni o dell’impacchettamento, anche perché naturalmente questi alimenti costano di più di quelli “normali”. Puntiamo per questo al circuito turistico e ad uscire dalla cerchia del villaggio Occorre anche una sensibilizzazione generale alla qualità e al biologico”. Anche per questo Hiba ha avviato un progetto di ristorante bio, finanziato dal WWF, arredato con oggetti riciclati e in cui si cucinerà con questi prodotti e quelli di altri gruppi simili nati nella zona, e dove, infine, sarà possibile acquistarli grazie a un’esposizione permanente. “Io ho presentato un progetto ma il ristorante sarà un investimento per tutta la comunità con un ritorno economico e di visibilità per tutte loro”.
Tebaneya – Hiba Brinci
- Post author:Pamela Cioni
- Post category:Diario di Campo / Tunisia
Pamela Cioni
Pamela Cioni, fiorentina, giornalista professionista, ha lavorato per diverse testate locali e nazionali dove ha scritto di cinema, cultura e cooperazione internazionale. Si è occupata di letteratura latinoamericana per la casa editrice Caminito della quale è stata anche fondatrice. Attualmente è responsabile per la comunicazione della ong COSPE per la quale è anche direttrice della rivista “Babel”.